Intervento di S.E. Mons. Claudio Giuliodori


 Vescovo di Macerata - Tolentino - Recanti - Cingoli – Treia

Presidente della Commissione Episcopale per la Cultura e le Comunicazioni Sociali della C.E.I.

         Ad Maiorem Dei Gloriam. Il motto dei gesuiti ha trovato in P. Matteo Ricci uno dei più illustri e originali interpreti. La sua straordinaria avventura missionaria lo ha portato a costruire, per la prima volta nella storia, un vero ponte di dialogo e di scambio tra l’Europa e la Cina. Un incontro che ha segnato profondamente il cammino dell’umanità fino ai nostri giorni.  Il gesuita maceratese è artefice di una svolta epocale tra le più rilevanti della storia e il suo metodo di dialogo e inculturazione appare quanto mai attuale e per molti versi ancora insuperato.

         Il Docufilm "Matteo Ricci, un gesuita nel regno del drago", girato con grande maestria e competenza dal Regista Gjon Kolndrekaj, contribuisce a rendere il dovuto onore a questo gigante della fede, della cultura e dell’amicizia tra i popoli. Il linguaggio immediato ed essenziale delle immagini, la narrazione sempre fluida e coinvolgente, le musiche che rendono ancora più affascinante il filmato, fanno di questa opera uno strumento quanto mai efficace per un’ampia divulgazione dell’impresa umana e spirituale del grande gesuita. Il docufilm è stato presentato in anteprima mondiale il 18 giugno dello scorso anno in Vaticano alla presenza delle autorità civili ed ecclesiali, successivamente, in settembre, nel contesto del Festival del cinema di Venezia e poi a quello di Roma, riscuotendo sempre grande apprezzamento per la qualità della produzione. Fino ad ora, in lingua italiana, sono state distribuite oltre 50.000 copie ed oggi viene presentata la versione internazionale in sei lingue.

         In questa occasione viene anche presentata la versione in lingua inglese della mostra didattica: “P. Matteo Ricci. A servizio del Signore del Cielo” che girerà poi in Europa e nel mondo favorendo così la conoscenza del Gesuita maceratese. Si tratta di 30 pannelli che attraverso testi dello stesso Ricci, accuratamente selezionati, didascalie e immagini, aiutano a ripercorre la sua vita e a conoscere il contesto storico e culturale della sua opera.

         Dal 30 ottobre 2009 al 24 gennaio 2010 è stata inoltre allestita a Roma, in Vaticano, una grande mostra d’arte dal suggestivo titolo “Ai crinali della storia. P. Matteo Ricci fra Roma e Pechino” per sottolineare che tutta la sua opera è scaturita dalla fedeltà all’innovativo carisma di Sant’Ignazio di Loyola. Seguendo le orme del fondatore tra il XVI e il XVII secolo partirono verso i quattro angoli della terra schiere di giovani gesuiti dotati di forte personalità, di grandi risorse intellettuali e di una solida e intrepida fede.

         P. Matteo Ricci proprio da Roma, giovanissimo e non ancora ordinato sacerdote, dopo essersi formato nel collegio Romano alla scuola dei più illustri maestri del tempo, partì il 18 maggio del 1577 verso l’Oriente con la benedizione di Gregorio XIII.  Salperà il 24 marzo del 1778 da Lisbona assieme a 14 compagni per coronare il suo sogno di raggiungere gli estremi confini della terra e dopo sei mesi approderà a Goa dove si trovava la tomba di San Francesco Saverio, morto con il desiderio di entrare in Cina nel 1552, due mesi dopo la nascita di Ricci. Molti tentativi furono fatti senza successo per oltre 30 anni fino a quando, assieme al confratello P. Michele Ruggeri, riuscì ad entrare e a stabilire in Zhaoqing, il 10 settembre del 1583, la prima dimora dei gesuiti per arrivare, tra mille peripezie e difficoltà, il 24 gennaio del 1601 fino a Pechino, sempre incoraggiato dalla Compagnia di Gesù e in particolare dal P. Alessandro Valignano, visitatore delle missioni d’Oriente e grande sostenitore del nuovo metodo adottato dal Ricci.

         Da Macerata a Pechino passando per Roma, P. Matteo Ricci compie un’impresa straordinaria. Grazie al suo slancio missionario e sostenuto da una formidabile intelligenza riuscirà a superare la diffidenza e la chiusura del popolo cinese guadagnando stima e prestigio fino ad essere accolto e ospitato a corte per desiderio dell’imperatore Wanlì della grande dinastia Ming che ne apprezzerà la saggezza e i doni portati dall’occidente. “Io mi ritrovo ancora nella Corte di Pachino da otto anni in qua che venni - scrive nel 1608 al fratello Antonio, canonico a Macerata -, e vi sono bene occupato, e qua penso finir la mia vita, poiché così desidera l’imperatore. Si son fatti molti cristiani in quattro case edificate in quattro tra i luoghi più importanti del regno: e molti vengono alle Messe e si confessano e comunicano nelle feste principali, e odono con gran gusto la parola di Dio, e così si fa gran frutto; ma molto di più si ottiene con i libri che si stampano in lingua cinese, e quest'anno ne ho stampato uno, che è stato molto accetto, ed è stato ristampato in due o tre altre province”.

         Ha disegnato mappamondi che hanno fatto conoscere ai cinesi il resto del mondo, a loro sostanzialmente ignoto, evidenziando su queste grandi carte geografiche i luoghi più importanti dell’Europa e della cristianità. Ha tradotto in cinese libri di filosofia, di matematica e di astronomia e ha fatto conoscere in Occidente i testi di Confucio. Ha stabilito un dialogo intensissimo con i letterati e gli uomini di cultura più illustri della Cina trasformando questi colloqui in libri, finalizzati anche a preparare il terreno per la semina del Vangelo. Nasce così il Vero significato [della Dottrina] del Signore del Cielo pubblicato a Pechino nel 1603 e si spiega anche lo straordinario successo del libro Dieci Paradossi, pubblicato a Pechino nel 1607, in cui affronta in chiave sapienziale i grandi temi della vita. È riuscito così a mettere solide basi per una reciproca conoscenza fra l’Oriente e l’Occidente, fra la Cina e l’Europa, fra Pechino e Roma, aprendo una nuova fase per la storia dell’umanità non dissimile da quanto avvenuto un secolo prima, sul versante opposto del pianeta, con l’impresa di Cristoforo Colombo. E dell’importanza di quanto aveva realizzato era ben consapevole, tanto che volle lasciare ai posteri una descrizione dettagliata di questa straordinaria avventura missionaria (cfr la monumentale opera del Ricci Della entrata della Compagnia di Gesù e Christianità nella Cina).

         Scrive Benedetto XVI nel messaggio inviato al sottoscritto per le celebrazioni ricciane: “Nonostante le difficoltà e le incomprensioni che incontrò, Padre Ricci volle mantenersi fedele, sino alla morte, a questo stile di evangelizzazione, attuando, si potrebbe dire, una metodologia scientifica e una strategia pastorale basate, da una parte, sul rispetto delle sane usanze del luogo che i neofiti cinesi non dovevano abbandonare quando abbracciavano la fede cristiana, e, dall’altra, sulla consapevolezza che la Rivelazione poteva ancor più valorizzarle e completarle. E fu proprio a partire da queste convinzioni che egli, come già avevano fatto i Padri della Chiesa nell’incontro del Vangelo con la cultura greco-romana, impostò il suo lungimirante lavoro di inculturazione del Cristianesimo in Cina, ricercando un’intesa costante con i dotti di quel Paese” (Messaggio del 6 maggio 2009).

         Ci auguriamo che grazie alle tante iniziative promosse in occasione del IV Centenario della morte, la figura di P. Matteo Ricci, restata per tre secoli un po’ nell’ombra a causa delle note vicende dei cosiddetti “riti cinesi”, a lui per altro sostanzialmente estranee perché successive, potrà trovare il riconoscimento e l’apprezzamento che merita per l’impresa compiuta, per la sua statura spirituale e morale, per la sua apertura e lungimiranza culturale. Alla luce di una tale testimonianza possa crescere anche l’amicizia con il popolo cinese e possano rafforzarsi i vincoli di comunione e di collaborazione.


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